Sui primi risalti montuosi, tra Valle Pellice e Valle Po, si ergeva nei primi secoli degli anni Mille il Castello-forte di Bagnolo circondato da mura; più sotto a valle il ” Castello piano” ed il Borgo antico di Bagnolo nello stato dei Duchi di Savoia di cui rappresentava, nel medioevo, la difesa sud-ovest in collegamento con il Castello posto sulla Rocca di Cavour.

La struttura del castello si forma nei primi sei secoli, poi cresce e si arma di sempre nuove fortificazioni, secondo le tendenze e la necessità dell’architettura militare. All’inizio intorno agli anni Mille il mastio e la torre sud furono probabilmente protetti da palizzata in tronchi di legno, nei secoli successivi fu costruito un primo giro di mura in pietra con merlatura ghibellina, che proteggeva in alto il camminamento di ronda delle sentinelle, intervallato da piccole torri di guardia, poi la torre delle scale ed il rivellino, (un terrapieno fortificato da mura con 4 torrette ed una torre a pianta circolare, quello che oggi è il giardino delle mura a forma di prua di nave). L’avvento delle armi da fuoco potenti come i cannoni dal 1330 in poi impose nuove difese e furono costruiti un secondo, poi un terzo anello di mura e rinforzato il mastio alla base con i “ barbacani” a forma di zampa tutt’intorno alla base. La merlatura ghibellina coronava il piano alto, in epoche più tarde, sostituita da una copertura in lose, come oggi vediamo.

Mentre il Castello-forte e le mura conservano ancora i caratteri alto-medioevali, quali apparivano nell’iconografia sette-ottocentesca, sono invece scomparse quasi del tutto le tracce dell’Antico Borgo ed il “Castello Piano” posto ai piedi della collina e, fino al 1400 integrato nel Borgo, ha subito trasformazioni nel sei-settecento fino ad assumere l’attuale aspetto, diventare dimora dei conti Malingri prendendo la denominazione di “Palazzo”. I tetti a “lose” su orditura lignea, il carattere agricolo e contemporaneamente di rappresentanza sono elementi che contribuiscono, in vario modo ad accogliere il visitatore ed a fare, di questo insieme, una testimonianza tuttora viva di di architettura militare, rurale e civile dal medioevo ad oggi.

Il paesaggio collinare-agricolo di un tempo, (abbandonata in gran parte la coltivazione negli anni ’50, ’60) con interventi di riforestazione ed ampliamento dei boschi già esistenti (castagni, faggi, betulle, conifere) intervallati  da prati, vigne e frutteti si è trasformato quasi in un parco naturale in cui si insediano le CASCINE (con i loro pozzi e i forni per fare il pane, le stalle) ed i MULINI idraulici (restano ancora quelli del fabbro, del falegname, e del mugnaio) che facevano parte del FEUDO del conte Malingri di Bagnolo, feudatario fedele dei Savoia. Quasi tutti questi edifici in pietra, con tetti in lose di pietra, costruiti in varie epoche, sono stati recuperati ed accuratamente restaurati pur mantenendone le caratteristiche, le attrezzature e, dove possibile, anche le destinazioni.

Attualmente la proprietà è del barone Arch. Aimaro Oreglia d’Isola, figlio di Caterina Malingri di Bagnolo, ultima discendente in linea diretta dei Malingri di Bagnolo. Attraverso sette secoli il complesso feudale con il Palazzo, il parco, il Castello è stato difeso, mantenuto, curato ed abitato con continuità dalla stessa famiglia, che malgrado le molte difficoltà, ha cercato di conservarne gli elementi di architettura, arte, storia e paesaggio.

LA STORIA

Desunte da appunti scritti intorno al 1920 dal conte, generale Aimaro Malingri di Bagnolo, sulla base di documenti di archivio queste brevi note possono dare un quadro dei principali eventi storici che hanno coinvolto il feudo, il borgo di Bagnolo, il Castello ed il Palazzo

La storia del Palazzo e del Castello è legata in buona parte a quella del borgo, che, allora popoloso sorgeva da antica data, alle falde del Castello che lo proteggeva, nei prati sottostanti, detti Pradoni o Prati Cesarei, fortemente difeso dal Torrente e da palizzate e valli, là dove vi è tuttora il Palazzo di casa Malingri e forse la Chiesa antica Parrocchiale.

Distrutto nel 1219 dai vercellesi il borgo di Bagnolo, fu stabilito da parte dei duchi di Savoia (il 31 marzo 1293) di trasferirlo al piano “in planum revertamur”, presso il convento di S. Pietro. In tale convenzione si fissò persino il luogo di adunata degli Amministratori della Comunità.

Ma tale convenzione non si eseguì per la naturale riluttanza degli uomini di Bagnolo di scendere al piano, reputato malsicuro in quei tempi torbidi di continue guerre devastatrici, perché non protetto dal forte Castello: prova di ciò è un’ordinanza del 29 ottobre 1338 di Giacomo di Acaja che intima nuovamente la discesa a S. Pietro (1).

Nei secoli XI, XII, XIII, XIV, sotto l’alta sovranità di Casa Savoia per eredità della Contessa Adelaide di Susa, tenevan feudo in questa zona, vari signori che prendevan nome dalla terra stessa e che a poco a poco furono assorbiti da maggiori vassalli, quali i Lucerna, gli Orsini di Rivara, i Provana, gli Albertenghi, i Della Torre che cedettero le loro parti di feudo ad Amedeo Malingri signore di saint Genix in Savoia (2) scudiere ed ambasciatore del duca Amedeo VIII, noto poeta occitano (3) investito del feudo da Ludovico Principe d’Acaja il 7 settembre 1412 (4) confermato dall’Imperatore Sigismondo a Costanza il 14 settembre 1415 (nel 1702 il feudo fu eretto a contea a favore dei Malingri).

Nel XVI secolo la peste spopolò Bagnolo.

Nella guerra per la signoria del Marchesato di Saluzzo, nel XVI sec. Francesco I di Francia devastò Bagnolo, che a pace fatta vi segnò il confine tra il dominio francese di Saluzzo e le terre dei Savoia, cui Bagnolo rimase sempre ligia: la strada Barrà con la Torre Cairà (località S. Grato) ed altre torri, ora diroccate, protette da valli e da trincee e appoggiate all’allora formidabile fortezza di Cavour ed al Castello di Bagnolo, indicano ancor oggi il confine antico fra Francia e Savoia.

Più tardi nelle guerre fra Enrico IV e Carlo Emanuele I°, fine 1500, il maresciallo Lesdiguières saccheggiò Bagnolo, uccidendo gran parte degli abitanti, conquistando il Castello che venne smantellato e diroccato in gran parte. All’inizio del XVII sec. il maresciallo Catinat, dopo aver distrutto Cavour, saccheggiò Bagnolo, ma non poté impadronirsi del Castello, validamente difeso con metodi evoluti e con artiglierie.

Nel XVII sec. poi i Valdesi, incendiato Fenile e Campiglione, tentarono un colpo di mano su Bagnolo, ma furono respinti con gravi perdite. In seguito i Valdesi per stipulare un trattato di pace con i Savoia chiesero ed ottennero la testa di Gian Bartolomeo Malingri che aveva combattuto e vinto contro di loro sanguinose battaglie.

Nel 1690 dopo la disfatta di Staffarda, il Duca Vittorio Amedeo II inseguito dalla Cavalleria francese si rifugiò sotto la protezione del castello e sostò nel ridotto del castello, al Castellino. Una lapide in pietra sul pozzo della cascina ricorda questo avvenimento.

Nel 1797 i Francesi della rivoluzione occuparono Bagnolo, ma furono scacciati nel 1799 dal generale Kutusooff (eroe di Guerra e P di Tolstoi) che li annientò a Bibiana.

Seguirono oltra 150 di pace per il Castello ma la più dura delle guerre ebbe inizio nel 1943.

NOTE
1) Neppure allora i Bagnolesi obbedirono, cosicchè nel 1400 il Principe d’Acaja Amedeo, minacciando gravi sanzioni, proibì nell’antica borgata ai piedi del Castello i negozi alimentari, gli ordigni tessili, le fucine, ecc.
La discesa al piano, divenuti i tempi ormai più tranquilli, ebbe allora inizio ma non fu poi decisa che nel XVI secolo sotto l’energica ingiunzione del duca Emanuele Filiberto e del suo feudatario Malingri, che assecondò il suo Sovrano ed acquistò i territori dell’antico borgo rendendoli allodiali.
2) Il primo Malingri del quale si hanno documenti è Pietro signore di saint Gènix diocesi di Bellay, del quale si trova all’archivio di stato di Torino, un atto riguardante le terre possedute a Bagnolo (30 maggio 1351).
3) Le poesie sono pubblicate in “Poesies d’un noble Savoyard-Piemontais. Le sire Malingri Maitre d’hotel del Monsiguer le prince de Morée”. Bollettino dell’associazione fra Oriundi e Nizzardi italiani N° 4-1914 Torino.
4) Dal documento di investitura “Avendovi Noi presenti e considerando i molti, grati et accettissimi servizi a Noi prestati in varie occasioni e maniere per il diletto consigliere e scudiere nostro Amedeo Malingri, maestro del palazzo, che nella guerra espose con tutta la volontà e coraggio la sua Persona a grandissimi pericoli per onore del suo Signore e sostenne talvolta durissima prigionia e considerando gli altri suoi meriti e lo zelo illuminato con cui trattò i negozi a lui affidati, non risparmiando fatiche, veglie ecc. per tali cause e per altre, che muovono l’animo nostro, noi diamo e consegnamo ad Amedeo Malingri in feudo nobile, gentile, antico, avito e paterno… il Castello, la Villa e gli uomini immediati di Noi stessi del luogo di Bagnolo, col mero e misto impero, omnimoda giurisdizione alta, media e bassa…”. Si può notare come questo documento nomina, oltre al Castello, la Villa ora detta il Palazzo.

LA RESISTENZA

Nel corso del XIX e XX secolo i cambiamenti e le vicende storiche che portarono i Savoia a diventare Re di un grande paese unificato annullarono  di fatto l’importanza della posizione militare del Castello, che non più abitato da soldati ed armi conobbe un lento degrado. Per oltre un secolo fu abitato da contadini e pastori assimilato ad una delle cascine del feudo ed usato come tale. In realtà fu proprio in quest’ultimo periodo della sua storia che il castello visse la stagione di guerra e di fuoco più cruenta e combattuta.

Dal 1943 al 1945 al termine della seconda mondiale dal Palazzo al Castello e fin su in montagna la zona fu teatro della lotta tra partigiani antifascisti e fascisti italiani alleati con l’esercito tedesco in ritirata. Caterina Malingri  di Bagnolo e suo marito il Barone Vittorio Oreglia d’Isola e con loro ospiti, parenti, amici, domestici ed i due figli Aimaro e Leletta si schierarono dalla parte dei partigiani che aiutarono, curarono e protessero per i 20 lunghissimi mesi della lotta per la liberazione. La valle del’Infernotto, Barge, Paesana, la Valle Po e le valli confinanti furono il campo di battaglia della  Divisione Garibaldi in Piemonte, sostenuta anche e soprattutto da una eroica partecipazione della popolazione civile che pagò con molto sangue e vite umane questa scelta.

Palazzo e castello furono al centro di questo territorio e teatro di questa guerra: spesso servirono da comunicazione, appoggio e nascondiglio per i partigiani. Le vicende di questo periodo sono narrate dalla voce fresca della giovanissima Leletta nel suo diario divenuto documento e testimonianza viva della storia della Resistenza italiana.

LELETTA E IL DIARIO

A diciassette anni, studentessa liceale e fervente cattolica Leletta si trova a vivere un’esperienza che intuisce essere “storica” e la riporta, giorno per giorno, nei suoi quaderni-diario che tiene nascosti e compila quando può, per paura che possano essere scoperti dal nemico, (incursioni e perquisizioni dei tedeschi erano frequenti). Le sue parole riflettono lo sguardo di una ragazza affacciata agli orrori della guerra con la spensieratezza dei suoi giovani anni ma anche con la lucidità che le deriva da una fede coraggiosa e consapevole.

A rendere preziosa la sua testimonianza fu anche il fatto che proprio nella sua casa, nel cortile e in castello furono ospitati e si rifugiarono i partigiani comunisti della  Brigata Garibaldi ed in particolare il loro capo, il famoso comandante Barbato, nome di battaglia di Pompeo Colajanni, siciliano, ufficiale di cavalleria, passato alla lotta contro i fascisti dopo l’ 8 settembre del 1943.  Già il 10 settembre a Barge egli riunisce ufficiali, sottoufficiali e soldati e forma il primo nucleo di resistenza armata: entusiasta e trascinatore, colto e militarmente preparato Colajanni guidò poi i suoi uomini in montagna, non per nascondersi ma per combattere una guerra che si rivelò lunga e dura ma che ebbe episodi esaltanti e gloriosi.

Leletta rimase affascinata dal comandante, ma tra le righe del diario, la sua ammirazione era sempre condita da un pizzico di maliziosa ironia. La nobildonna cattolica ed il partigiano comunista.
Leletta ed il comandante Barbato non rappresentano un “compromesso storico” ante litteram, no, i partigiani garibaldini non combattevano sulle montagne del Villar per istaurare la dittatura del proletariato, ne’ la famiglia aristocratica e di fede monarchica vedeva in loro futuri nemici, ma uomini che si battevano per il loro stessi valori: questa è la realtà che ci restituiscono i racconti dalle pagine del diario.